venerdì 30 maggio 2014

La narrazione tossica del leader

La narrazione è un punto fondamentale della strategia politica.
Se ben studiata, preparata, diventa determinante per il successo di un partito o di un politico.
Se chi narra interpreta anche il giusto personaggio e sa muoversi opportunamente sul palco-mondo, può determinare non solo le proprie sorti, ma anche le sorti di un intero paese.
La cosiddetta politica emotiva (1) nasce negli USA intorno agli anni 20 e verrà testata con successo nella Germania di quegli stessi anni: arrivata all'apice delle scienze e della filosofia, il giovane Hitler riesce ad imporre la paura del diverso e a guidare un'intera nazione verso il nazismo.
Ancora negli anni 80, viene assegnato ad un uomo, noto fino ad allora per alcuni ruoli di attore ad Hollywood, il compito di riportare al successo il Partito Repubblicano americano: Reagan diverrà così 40° presidente degli USA e con la bufala della trickle down economy (2) riuscirà a conquistare gli americani e a distruggere quel poco che esisteva di sindacato americano.
Inizio degli anni 90: con la storia del grande imprenditore operaio che vuole il bene degli italiani ma che è ostacolato dai giudici comunisti, inizia il ventennio berlusconiano.
Infine, e siamo ad oggi, seconda decade del XXI secolo, da un vero palco e dal suo blog, un ex comico prestato alla politica reinterpreta la massima primus inter pares dell'imperatore romano Augusto, traducendola nel più orecchiabile uno vale uno.

(Cliff Pickover)


Sia chiaro che la politica emotiva e la strategia della narrazione politica non hanno colori: Obama negli USA e Vendola in Italia, sono chiari esempi dei tentativi, a volte perseguiti con successo, dell'utilizzo di questa tecnica.
Ma così come può appartenere ad un qualsiasi schieramento chi utilizza le tecniche della politica emotiva, può essere differente il messaggio: non possiamo dire che la politica emotiva sia di destra o di sinistra, né che ad utilizzarla siano solo certi personaggi...ma il messaggio può essere molto diverso.



Parlando di messaggio non possiamo non parlare di definizioni: accettare una definizione significa accettarne la conclusione. Prendendo ad esempio la campagna elettorale di Bush Junior (3):
"Karl Rove, il consulente di Bush, gli fece vincere le elezioni raccontando storie che alimentavano la paura della gente e facevano appello a valori religiosi...Attraverso ricerche basate sulla risposta immediata (che è sempre emotiva), Luntz&Co. hanno scoperto che l'elettorato accoglie un simbolo solo se fa parte del proprio mondo dei valori...Accettare una definizione (simbolica, ndr) è accettare una conclusione"

Veniamo ad oggi e a questi giorni.

(il profilo fake di Di Battista - meglio di quello originale)

Dopo tre giorni di silenzio, il M5S ricomincia con i suoi proclami. I pentastellati riappaiono dopo la batosta autoinflitta: difficile parlare in Italia di una batosta quando si prende il 20%, anche se un altro partito prende il 40%...molto più facile se per mesi hai detto #vinciamonoi.
La loro narrazione a pochi giorni dal voto è stata molto ben studiata: transmediale e neneista (né-di-destra-nè-di-sinistra), ha tentato di colpire l'elettorato più moderato con la partecipazione a Porta a Porta e di sfondare a sinistra con il richiamo a Berlinguer (con Di Battista-Grillo che rifanno Benigni-Berlinguer), alla questione morale (dicendo che sono gli unici eredi) alla contro-definizione (accusati più volte di fascismo, usano il caso del loro camper vandalizzato per dire "e poi saremo noi i fascisti").
Soprattutto è stato un tentativo di guerra-lampo: lo spreading del messaggio sui social network comincia a 4 giorni dalle elezioni e si protrae efficacemente anche dopo i comizi di chiusura, nei giorni di silenzio elettorale.
La rabbia, che fa passare da #vinciamonoi a #linciamonoi, viene lasciata al pubblico. Ad esempio il pubblico che si scaglia contro gli elettori di Mirandola che hanno votato in massa PD, nonostante Grillo abbia donato 425mila euro per i terremotati. Il capo non si sporca le mani, non ne ha bisogno.

(quando laggente non ricambia il voto di scambio, diventa laggente cattiva)


A tre giorni dalle elezioni, quindi, si ricomincia, con la nuova verità, proseguimento naturale della narrazione precedente, allo stesso tempo, nuovo capitolo:
- Di Battista rilancia "è stato un trionfo", e accusa "informazione asservita al potere come non accadeva nemmeno nell'Argentina di Videla."
- Grillo dichiara "non ho mai detto che me ne sarei andato" (infatti...)
Lombardi: "nuove espulsioni".
Documento interno: Nuova strategia, investire sulla tv, cambio nel metodo di selezione dei parlamentari, presentare una squadra di governo.


Renzi non si accontenta della vittoria, sa che non bisogna perdere tempo e battere il ferro finché è caldo. E riparte alla grande con l'evento migliore che gli si potesse offrire: l'arrivo in Italia dei bambini congolesi adottati dalle famiglie italiane e che per un anno erano stati bloccati in Congo.
Sui giornali, tutti parlano del grande lavoro di Renzi che ha "sbloccato" l'affaire.
L'abilità del nuovo PD di Renzi è da manuale: Renzi non ha sbloccato niente, sono le autorità congolesi che dopo 12 (dodici) mesi hanno deciso che era tutto ok:
"Le autorità congolesi hanno convocato gli ambasciatori di Italia, Francia, Belgio, Usa e Canada per comunicare che le verifiche sui dossier si erano concluse positivamente: tutto regolare.

A partecipare alla festa e prendersi tutti i flash dei fotografi, ovviamente la ministra Boschi a cui viene dedicato un fantastico servizio fotografico. E la Kienge che "difende" la Boschi: simbolo di ritrovata unità nel partito.


Incredibile l'articolo di Gramellini su La Stampa: questa è un'altra sinistra, se addirittura D'Alema a suo tempo non seppe approfittare di una occasione simile. Gramellini dice bene, ma bisognerebbe fargli notare due cosine.
Il fatto che usa la parola "sdoganare" (che si usava per altri temi e in altro modo, es. Berlusconi sdogana i fascisti dell'MSI) per i bambini, come se fossero oggetti che passano la dogana..."Renzi sdogana i bambini".
Questa è una definizione. E la narrazione, fatta di poche semplici parole, è potentissima.

Renzi. Sdogana. Bambini. Congolesi.

Sembra una ricerca fatta su Google...e in effetti, è perfetta per raggiungere la hit delle notizie più cliccate.
Ma Gramellini, soprattutto, dimentica di fare il suo lavoro, cioè informare...e se l'ho fatto io, ci può riuscire chiunque! Renzi non ha sdoganato niente ma ha concesso un aereo. Punto.


Due partiti, due narrazioni diverse, che però convergono: anche chi continua a votare Grillo dichiara che "la svolta del PD è merito di Grillo che gli ha messo paura".
Il problema di questa assunzione non è dire le motivazioni del cambiamento nel PD.
Il problema è che ora la narrazione dominante è quella di una Italia che ha preso una nuova direzione, un nuovo verso, volendo usare uno slogan di Renzi. Narrazione che ha un titolo, "la Svolta", che è anche una conclusione.
Difficile far capire che se c'è stata una svolta, è stata solo nella strategia elettorale e mediatica, non nella politica.

Tutte narrazioni negative? No, c'è anche un'altra narrazione. Fuori dall'Italia.
Non tossica, volendo usare un termine che rende bene l'idea (ad esempio qui e qui).
È la notizia dell'addio del subcomandante Marcos, anzi...dell'annuncio della scomparsa del subcomandante da parte di lui medesimo.

Come nasce il personaggio? E per quale motivo?
"...quelli di fuori non ci vedevano. Abituati a guardare gli indigeni dall’alto, non alzavano lo sguardo per guardarci;...Il loro sguardo si era fermato sull’unico meticcio che videro con un passamontagna, cioè, non vedevano. I nostri capi e cape allora dissero: ‘vedono solo la loro piccolezza, inventiamo qualcuno piccolo come loro, cosicché lo vedano e che attraverso di lui ci vedano’ “. Così è nato Marcos, frutto di “una complessa manovra di distrazione, un trucco di magia terribile e meraviglioso, un gioco malizioso del nostro cuore indigeno; la saggezza indigena sfidava la modernità in uno dei suoi bastioni: i mezzi di comunicazione”."
Il pubblico è il personaggio.

Oggi è stato raggiunto l'obiettivo da sempre ricercato: non il potere, ma la maturità.
"Dopo più di 20 anni alla guida delll’organizzazione politico-militare sollevatasi in armi il primo gennaio del 1994, Marcos ha annunciato il passaggio di testimone. Ha detto che dopo i corsi della Escuelita Zapatista dell’anno scorso e dell’inizio di questo, “ci siamo resi conto che oramai c’era già una generazione che poteva guardarci, che poteva ascoltarci e parlarci senza bisogno di una guida o leadership, né pretendere sottomissione”. Allora, ha detto, “Marcos, il personaggio, non era più necessario. La nuova tappa della lotta zapatista era pronta”."
Il confronto con il panorama italiano, in cui il pubblico è sempre alla ricerca del capo, desidera il pifferaio magico di turno, il padre-padrone che deresponsabilizza i suoi seguaci, non lascia dubbi su quale strategia stia vincendo.

Note
(1): Guido Moltedo, Marilisa Palumbo "Politica è narrazione. Da Obama a Vendola", Manifestolibri
(2): dalla voce "ideologia" della Treccani "trickle down, secondo la quale i benefici della crescita della ricchezza sarebbero arrivati - sia pure lentamente, goccia a goccia - anche alle categorie sociali più povere"
(3): Daniele Luttazzi "La guerra civile fredda", Feltrinelli

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