venerdì 20 ottobre 2017

In Africa tra Himba, tori e supermercati

Sono soprattutto quei pochi momenti in cui si alza il vento e porta con se la sabbia del deserto a rendere il giorno più caldo di quello che è effettivamente.
Non faccio in tempo a scendere dal bus che veniamo circondati prima dalle ragazzine che ci vogliono vendere dei braccialetti e poi da tanti bambini che chiedono uno spicciolo o da bere.
Riesco ad uscirne intero regalando qualche "semplice" bottiglia di plastica che altrimenti avrei buttato. Più tardi, alcuni di questi bambini mi diranno che ognuna di queste bottiglie vale 10 centesimi, non poco da quelle parti.
Entrati al market Spar, una allucinazione: tra qualche avventore locale e i tedeschi vestiti da esploratori del secolo scorso, a spingerere il carrello della spesa c'è una donna di colore rosso, le lunghe trecce impastate dello stesso rosso che terminano con delle extension nere, il seno nudo e una gonnellina fatta di pelli di vari animali accatastati e infine tanti anelli dalla caviglia al polpaccio.
Un anacronismo vivente che finora avevo visto solo in romanzi e fumetti distopici.




Sono passati 200 anni da quando gli Himba vennero dall'est e decisero, una volta arrivati nel nord della Namibia, di scendere a sud, al contrario dei fratelli Herero che andarono a Nord e che furono "vestiti" dai missionari europei. Vestiti sì, ma col loro stile, alla faccia del bianco e nero delle suore, ecco gonne e cappelli a pizza di mille colori!
Sono passati 200 anni, in cui questo era il territorio in cui vivevano, in cui vagavano letteralmente per chilometri per muoversi da un villaggio all'altro e sposare le loro mandrie, in armonia e in lotta con gli ambienti estremi ogni giorno incontro per la prima volta.
E adesso, quando suona un clacson, devono far posto al primo che deve parcheggiare il pick-up!

La seconda tappa, prima di arrivare a uno dei loro villaggi, è il campo alle Epupa Falls, uno spettacolo meraviglioso, la roccia dura scavata da milioni di anni dall'acqua su cui crescono aggrappandosi decine di baobab: in questo contesto sembra di vedere questi "elefanti" del regno vegetale danzare in punta di piedi e affacciarsi sul baratro senza fatica.
Mentre arrivo qui vedo villaggi distanti decine di chilometri e ogni tanto delle persone che si muovono a piedi spuntare dal bush...mi chiedo dove stiano andando e soprattutto come facciano ad orientarsi quando abbandonano la strada, inoltrandosi tra questi cespugli che sembrano tutti uguali.


Il villaggio da lontano è tante case di fango separate dal resto del mondo da una palizzata circolare di rami gialli: mentre mi avvicino superando un bosco di alberi simili ad olivi noto un cavo elettrico che proviene dalla linea che mi ha accompagnato lungo tutta la strada principale.
Entrando, tra una casa e l'altra vedo tante tende da campeggio, così basse che alcune caprette lasciate libere possono appoggiarci il muso. Al centro del villaggio, un altro recinto con tanti tori, la ricchezza degli Himba, quella ricchezza che gli permette di trattare con il governo al punto di bloccare la costruzione di una diga.
Davanti al recinto dei tori, tanta legna accatastata e adagiati sopra e e sui rami di un albero vicino ci sono grossi pezzi di carne sanguinolenta: è festa, si ricordano i tre anni dalla morte della prima moglie del capovillaggio ed è il motivo per cui vediamo arrivare ogni tanto, da tutte le direzioni, nuovi ospiti. Sono gli abitanti di altri villaggi, anche lontani decine di chilometri.

I più curiosi sono i bambini, che giocano con il mio cellulare scattando un po' di selfie involontari a loro e al cielo.
Capo rasato e una treccina al centro è un maschio, se le trecce sono due è una femmina: sono ancora piccoli e i loro sorrisi stupendi, quando avranno raggiunto gli undici anni il rituale prevede l'estrazione dei denti al centro dell'arcata inferiore. In parte un segno di bellezza, in parte la sicurezza che in caso di coma e con le mandibole bloccate potranno versarti qualche medicament con una cannuccia.




Mentre il capovillaggio e gli altri uomini più anziani restano seduti accanto al fuoco, i più anziani chiedono medicine per la tosse ed il mal di testa, i più giovani mi chiedono da dove vengo e cosa faccio lì.
Le donne rimangono con i bambini più piccoli vicino alle loro capanne, a guardia dei fuochi. Tra di loro, una Herero: non è in visita, ma è proprio la moglie di un Himba.


La sera dormiamo fuori dal villaggio e il freddo si fa sentire: per il fuoco è la nostra guida a cercare e portarci la legna, perché "non tutta è buona, il fumo di alcuni di questi alberi può farti male".
Intorno si raccolgono tanti bambini e ci fanno la stessa domanda: quanti figli abbiamo? Alcuni hanno dieci anni, ma sono già "sposati" da quando ne avevano cinque, matrimoni combinati come da tradizione. Arriveranno a vivere insieme verso i 15-16 anni, quando i genitori della sposa daranno il loro benestare.
Prima della nanna, una "pit stop di rito" mi porta ad allontanarmi dalle zone più illuminate. In lontananza vedo una luce che danza e che si avvicina. Un altro ospite per la festa, ancora decine di chilometri stavolta fatti al buio, oggi con una piccola torcia ricaricabile come ieri era una torcia.

All'alba rientro nel villaggio per assistare ad un altro rito, il sacrificio dei tori in onore dalla defunta.
Lentamente le persone si rialzano: anche alcuni bambini hanno dormito fuori la notte, ma sono già in moto e saltano come grilli anche con le coperte addosso e le bambole che gli abbiamo regalato.

I giovani entrano nel recinto più interno, fanno correre in tondo la mandria, una nuvola di polvere presto si alza e ci circonda. In breve un toro viene catturato e portato fuori, una decina di uomini lo butta e tiene bloccato a terra. Due di loro, messi uno sopra all'altro, gli montano sul collo per ucciderlo per asfissia.
Più tardi faranno lo stesso col secondo: nonostante sia più piccolo riesce per un po' a divincolarsi e a mettere nel far saltare alcune delle pentole della cucina approntata lì vicino.




Anche quando il capovillaggio si alza per sgridare i giovani per essersi fatti fregare così da un solo toro, lasciando la cassa di coca cola usata come sgabello, il più anziano rimane seduto senza proferir parola. Solo un sorriso quando il capo, che sembrava aver terminato la sua lavata di capo, improvvisamente riprende ad urlare.


Prima di ripartire, l'ultima immagine è quella di due bambine che prendono il latte dal recinto delle capre, all'esterno del villaggio: una di loro si avvicina alla palizzata e mi grida "sweeeeeeeet! candy caaaaandy!"...qualche dolce, qualche caramella, anche qui dove il supermarket non è ancora arrivato.

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